Uno su tutti però cambiò la mia
percezione del senso della vita.
Incontrai quasi per caso Fabrizio Macchi,
che allora voleva imparare a sciare ed era un fan di Alberto Tomba.
L’unico problema, che mi diede non poco
da pensare, è che Fabrizio aveva una sola gamba. L’altra gli era stata amputata
da bambino per una grave malattia.
Alberto prese sotto la sua ala protettiva
quel ragazzo, che, ben presto, fece parte del nostro gruppo di lavoro.
Con enorme stupore venni a sapere che
aveva partecipato alla maratona di New York e che avere un arto in meno per lui
non rappresentava assolutamente un problema.
Fabrizio abitava a Varese e faceva
l’impiegato presso un ufficio pubblico. Riusciva a stare con noi rinunciando
alle ferie e pagandosi viaggi e
alloggio.
Verso di lui avevo una sorta di affettata riverenza che lo innervosiva e lo faceva
sentire a disagio.
Fabrizio non si sentiva affatto diverso
da noi tant’è che rifiutava la protesi che lo avrebbe identificato in maniera
netta come un disabile.
Alberto, invece, lo prendeva in giro e lo
“sfotteva” proprio facendo riferimento alla sua menomazione in maniera tale da
farlo sentire partecipe in maniera attiva del nostro team.
Ben presto anch’io mi adeguai e, tra di
noi, non vi furono più barriere e ipocrisie.
In effetti Fabrizio era un vero atleta
che non aveva nulla da invidiare agli sportivi più forti.
Era un esempio per dedizione e tenacia.
Si allenava tutti giorni per diventare uno sciatore, lui che a malapena aveva
calpestato la neve.
Fabrizio era più forte del male (tanto
per citare il titolo del suo libro autobiografico), che lo aveva assalito.
Aveva voglia di vivere e trasmetteva serenità.
Attingevamo a piene mani dalle sue
motivazioni, e credo che anche Alberto gli fosse grato, perché da quel ragazzo
avevamo tanto da imparare.
Ricordo, che durante un nostro ritiro di
allenamenti in Abruzzo, feci con lui la
traversata del Gran Sasso. Ogni tanto gli chiedevo come andasse ma in realtà
ero io che facevo fatica a stare al suo passo.
Ero sicuro che sarebbe diventato un
ottimo sciatore, come poi accadde, ma non smise mai di stupirmi, negli anni
successivi, quando le nostre strade si divisero.
Leggevo sui giornali dei suoi successi
sportivi e spesso mi commuovevo.
La mia ammirazione per lui è tale che
oggi sono orgoglioso di poter dire che lo conosco.
Fabrizio ora è diventato un ciclista di
fama, si è sposato ed ha avuto un figlio. Ha vinto un bronzo alle
paraolimpiadi e dal 2002 in poi ha messo
al suo collo due medaglie d’oro, due d’argento e quattro di bronzo ai mondiali.
Nel 2001 ha stabilito il record dell’ora su pista percorrendo 45,870
chilometri.
Quel ragazzo che allora aveva ventidue
anni mi fece capire cosa vuol dire non mollare mai. Quando ho qualche problema
e mi sento giù, quando sento che potrei non farcela penso sempre a Fabrizio e
al suo grande sorriso.
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